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Pronta la cellula bionica che seleziona i candidati farmaci anti-Covid-19

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Una cellula umana “bionica”, con un chip impiantato e attivo sulla membrana cellulare, potrebbe rappresentare una base nuova non solo per testare in generale i farmaci in modo più rapido, ma anche per identificare in breve tempo e senza rischi contromisure farmacologiche chimiche o anticorpi destinati a combattere il virus Sars-CoV-2, con netta accelerazione del loro sviluppo.

Questa unità cellulare umana è dotata di un particolare microchip sulla sua stessa membrana che rappresenta la porta d’ingresso di medicinali, virus e agenti esterni, potrebbe rappresentare la strada maestra per intendere come influire con le cure su cellule infettate da ceppi virali diversi, come ad esempio quello dell’influenza oltre che ovviamente di Sars-CoV-2.

L’ipotesi di lavoro dei ricercatori è semplice: studiando direttamente cosa accade nelle membrane cellulari, considerando anche l’invisibile “patina” degli Spike di Sars-CoV-2, si potrebbe arrivare a capire quali principi attivi sono in grado di interferire davvero con i meccanismi di invasione del virus. Dal punto di vista della cellula umana messa a punto con il microchip di membrana, lo sviluppo prevede l’analisi bioelettronica della “dogana” invisibile della cellula umana, rappresentata dalle proteine transmembrana, che favoriscono il passaggio o il blocco di ioni attraverso questa struttura.

A mettere a punto l’invisibile dispositivo sono stati i ricercatori delle Università di Cambridge e Stanford, insieme agli studio della Cornell University, coordinati da Han-Yuan Liu e Susan Daniel. Lo studio che spiega questa cellula “costruita” con un device, in grado di recepire i potenziali trans-membrana e potenzialmente in grado di mimare cellule batteriche, umane o addirittura vegetali, è stato pubblicato su Acs Langmuir.

Il dispositivo impiantato sulla membrana cellulare ha solo capacità di registrare quanto avviene nell’attività dei canali ionici, proteine particolari delle cellule umane che rappresentano un obiettivo preferenziale per l’immissione di farmaci a livello cellulare, tanto da rappresentare il target di oltre il 60% dei prodotti farmaceutici.

Il microchip elettronico rappresenta quindi una sorta di “individuatore” di quanto si verifica a livello delle proteine di membrana, ma si comporta in pratica come un elemento inerte. Il sensore infatti non va a toccare alcun aspetto di regolazione della membrana stessa, non induce passaggi ulteriori sull’attività cellulare e non intacca né la struttura della parete cellulare né tanto meno la sua fluidità. Il dispositivo si integra perfettamente nella membrana cellulare ed è il frutto di un lavoro che diventa quindi un rilevatore affidabilissimo.

Lo studio dello strumento è partito dai ricercatori della Cornell University che prima sono riusciti a sviluppare un processo in grado di riprodurre membrane cellulari da cellule viventi, le hanno innestate in elettrodi polimerici preservando la funzionalità cellulare e creando un ambiente “naturale” per le stesse membrane. Infine, a Stanford sono riusciti a rendere ottimale l’attività degli elettrodi per metterli in grado di valutare mutamenti nella membrana stessa.

La cellula “bionica” può diventare un’alternativa alla classica ricerca farmacologica e quindi offrire possibilità di screening per valutare l’attività di molteplici candidati farmaci. In questo senso si innesta il possibile impiego attuale della scienza a caccia di principi attivi nei confronti di Sars-CoV-2 e quindi in grado di avere un ruolo terapeutico nei confronti di Covid-19, così come di altri virus, primo tra tutti quello dell’influenza. La ricerca, in questo senso, potrebbe essere molto più rapida e del tutto sicura tanto che lo studio del chip impiantato nella membrana cellulare è stato sostenuto dalla United States Defense Research Projects Agency (Darpa), che sta puntando molto su questa strategia.

L’obiettivo è ora quello di mettere a punto una membrana del virus Sars-Cov-2 e innestare il chip rilevatore, senza che sia presente l’acido nucleico del virus stesso. Grazie a questo approccio si potrà valutare la capacità neutralizzante di farmaci o anticorpi monoclonali in grado di neutralizzare gli “spike” del virus che consentono a Sars-Cov-2 di entrare nella cellula ospite. Il tutto senza ovviamente avere alcun rischio biologico. Le sperimentazioni potrebbero iniziare già nel prossimo agosto.